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NELLA PRATICA MAI PERDERE DI VISTA IL RESPIRO
- 15 Febbraio 2023
- Pubblicato da: Admin
- Categoria: centratura chiarezza Consapevolezza Spirito Yoga Yoko
Gli antichi Yogi sostengono che il prāṇa (l’energia vitale che sottende ogni cosa e naturalmente presente all’interno del corpo umano), con delle specifiche tecniche yoga, è possibile incanalarlo, assorbirlo e muoverlo consapevolmente affinché sia d’aiuto alla vita dell’individuo e alla sua evoluzione.
Lo scorrere del prāṇa e il modo di respirare sono strettamente legati tra loro e il controllo del prāṇa avviene soprattutto attraverso l’azione cosciente sul respiro.
La pratica dello Yoga con le tante sue tecniche rivela un’evidenza: il PRĀṆA obbedisce all’attenzione, alla presenza e alla concentrazione mentale. In altre parole, solo una mente capace di concentrarsi può incanalare, assobire o muovere consapevolmente il prāṇa.
La scoperta del legame che intercorre tra respiro e mente è antichissima e viene espressa per la prima volta nella Chāndogya Upaniṣad:
“Come un uccello, legato ad una corda, svolazza qua e là e non trovando altrove sostegno si rifugia proprio là dove era legato, così, o caro, il pensiero qua e là divaga e non trovando altrove rifugio, si riposa sul respiro: infatti, o caro, al respiro è legato il pensiero[1].”
Chāndogya Upaniṣad, 6.8.2
Controllare il respiro è controllare la mente, e viceversa:
”Colui che ha controllato il respiro, allo stesso tempo ha controllato la mente. E colui che ha controllato la mente, ha controllato anche il respiro[2].”
Haṭhayoga-pradīpikā, IV.21
Lo Yogabīja, testo di Haṭha-yoga risalente al XIV sec. d. C., spiega poi l’interdipendenza tra i due e cioè come la maestria sulla mente avvenga solamente attraverso la conquista del prāṇa/respiro (prāṇajaya).
“(80) Con le più svariate riflessioni non si domina la mente, dunque il metodo per conquistarla è il prāṇa e null’altro.
(81) Mio caro, il prāṇa non si controlla con la logica e i discorsi, con la pletora dei testi sacri (śāstra), con la deduzione (yukti), né con i mantra curativi sprovvisti del metodo degli adepti.
(82) Ci si incammina sul sentiero dello Yoga dopo aver appreso il metodo per [padroneggiarlo, ovvero, il respiro]. Colui che ha una conoscenza parziale e frammentaria finisce nei guai.
(83) Quegli Yogi che per la loro stoltezza vorrebbero [praticare] lo Yoga senza aver conquistato il respiro assomigliano a chi vuole attraversare il mare su un vaso di argilla non cotta[3].
Yogabīja, 80-83
Patañjali negli Yogasūtra riprende come pilastro portante della disciplina yogica il fatto che per calmare la mente con le sue modificazioni e fluttuazioni sia necessario il respiro. Il prāṇāyāma è poi inteso come la sospensione del respiro stesso detta kumbhaka.
“Una volta datasi tale [stasi, nelle āsana, n.d.r.], si proceda col confino del respiro (prāṇāyāma), che consiste in un atto di recisione [rivolto al ‘naturale’ distinguo] fra moto inspiratorio ed espiratorio[4].”
Yogasūtra II.50
Già comunque secoli prima la Bhagavad-gītā descriveva come pratica yogica consolidata del karma-yoga il controllo dei due soffi prāṇa e apāna:
“Altri [yogi, n.d.r.] poi sacrificano il soffio inspirato nel soffio espirato il soffio espirato nel soffio inspirato, arrestando alternatamente il flusso del prāṇa e dell’apāna, interamente dediti al controllo del respiro[5]”.
Bhagavad-gītā, IV. 29
L’arte di concentrare il prana ha costituito una delle più grandi scoperte psicologiche e spirituali.
Rappresenta un’immensa potenzialità, non solo per giungere a modificare stati di coscienza, ma anche per risvegliare stati di felicità come pace, gioia, contentezza e amore. Può portare dunque a far nascere dei doni spirituali.
Questa qualità di presenza è più sottile della concentrazione mentale ed è la qualità che illumina di comprensione e chiarezza il presente che si sta vivendo.
Se si pensa così della pratica yoga ed alle sue conseguenze potrebbe essere logico dedurre che è adatta solo a persone che già sono in grado di padroneggiare le fluttuazioni mentali direttamente responsabili del comportamento, personalità ecc.. e invece no. Si può iniziare tranquillamente iniziare con una mente frammentata, dove i pensieri, le azioni, le parole e le emozioni sono spesso in disarmonia. La pratica stessa si rivela una terapia per la mente, sarà la pratica ad accompagnare la mente verso il suo vero compito: a servizio dell’Essere. Non serve quindi essere già capaci. Come? Mai perdere di vista il respiro, si può cominciare e forse anche terminare dedicandosi al respiro. Sarà l’àncora della presenza. Percepirlo con devozione, nel qui e ora, questo è il segreto.
A cura di Lorena Trabucco
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