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MINDFULNESS 4.0: concentrazione? immaginazione? meditazione?
- 31 Maggio 2017
- Pubblicato da: admin
- Categoria: Consapevolezza Meditazione Mindfulness Unione Vipassana Yoko
C’è sempre più interesse intorno alla Mindfulness, alla meditazione, ma spesso c’è l’idea che meditare sia immaginare, visualizzare o concentrarsi in qualcosa magari di piacevole.
Nel preparare le lezioni per lo Yoga Retreat dei prossimi giorni ho scritto queste righe sulla meditazione che volentieri condivido con voi.
E’ necessario distinguere le tecniche di meditazione in due principali categorie:
- La meditazione ‘oggettiva’, detta anche “con seme”
- La meditazione ‘soggettiva’, detta anche “senza seme”
Dharana, uno degli otto stadi o gradini dell’esperienza Yoga, include tutte le tecniche di meditazione ‘oggettiva’, che sono le più facili. Queste tecniche seguono la naturale inclinazione della mente a proiettarsi all’esterno e guardare, pensare, desiderare, etc..
Nella condizione di coscienza ordinaria, la nostra attenzione viene costantemente trascinata, portata di qua e di là e spezzata nella sua unità. I pensieri, le identificazioni e le emozioni sono il collante di questo processo dispersivo.
L’oggetto, l’immagine o il ricordo interiore, può creare un’esperienza interiore di piacere o di dispiacere. La meditazione oggettiva non si oppone a questa modalità ordinaria di contatto con la realtà, ma cerca di utilizzare questa modalità per trascenderla.
Dharana significa calma concentrata. Seguo volontariamente un oggetto preciso e mi faccio sequestrare fino in fondo sempre dallo stesso oggetto. Ciò rende la mente calma e stabile al pari delle acque di uno stagno non increspato dal vento. L’oggetto può essere un mantra, un mandala, una candela, il respiro…; cioè si può scegliere il campo visivo, immaginativo, auditivo, o di percezione tattile, e concentrarsi solo su quello. Quando sopravviene qualcosa che mi allontana dall’oggetto scelto, la considero una distrazione e riporto dolcemente e senza biasimi l’attenzione all’oggetto scelto.
Questa pratica esclude dalla percezione tutti gli altri oggetti. Si può, se ci sono troppi pensieri, scendere a compromessi con la mente, ed associare un solo pensiero all’oggetto, ad esempio contare i respiri durante l’osservazione del respiro.
La coscienza (che non è la consapevolezza) assume la forma degli oggetti, quindi si frammenta se vi sono molti oggetti, e si unifica se ve ne è uno solo. La tecnica corretta per raggiungere risultati è non fare mai uno sforzo per raggiungere la concentrazione o la fusione; perché viceversa la volontà dell’Io impedisce la fusione, perché tenta in tutti i modi (consci ed inconsci) di riaffermare la separazione.
Si tratta di togliere qualcosa, non di aggiungere sforzi.
Occorre lasciar andare il falso confine tra soggetto ed oggetto, che è una creazione del pensiero, come meridiani e paralleli di una carta geografica. Questo confine è una misura-menzogna della mente.
Il procedere per sottrazioni è il segreto della quiete mentale.
Occorre preservare e cogliere quel seme di pace che c’è in noi e farlo crescere senza l’intervento dell’Io, inibendo in qualche modo i suoi processi traduttivi lineari e schematici. Questo crea una mente unificata, che prepara la strada per andare oltre la mente.
Quindi per l’esperienza dell’Unità occorre lasciar cadere l’Io.
Le tecniche di Meditazione senza seme sono anche chiamate di consapevolezza aperta (Dhyana). Questo nello Yoga è considerato il gradino o lo stadio della Meditazione.
La pratica della consapevolezza aperta chiede di non scegliere alcun oggetto deliberatamente, ma di aprirsi a qualsiasi percezione nel campo della consapevolezza senza trattenere o scegliere alcun oggetto. Quindi non mi faccio catturare da alcun oggetto, ma osservo il naturale fluire degli oggetti. L’attenzione aperta è quindi non selettiva, e richiede prontezza ad accogliere i nuovi oggetti che di momento in momento si presentano, senza farsi catturare da nessuno di essi. Come un guardiano che osserva gli uomini che entrano ed escono dalla porta di un palazzo ma non ne segue alcuno.
L’attitudine simbolica da realizzare è quella dello specchio, Dhyana, piuttosto che quella della lastra fotografica, Dharana. Le eventuali reazioni agli oggetti (ad esempio avversione o attrazione), vanno incluse nel campo della consapevolezza non appena si manifestano.
Occorre stare fermi con la coscienza e lasciarsi attraversare da tutto ciò che succede senza farsi trascinare. Col tempo cambia completamente la percezione della realtà che appare più come un processo dinamico fluente in cui ogni cosa è e non è se stessa. E’ un paradosso che si può solo sperimentare. Cercando di tradurre questo in parole si tenderà, con l’affinamento dell’ascolto, a percepire più gli elementi vibratori rispetto alla forma o ad una materialità densa.
Si passa da una visione di oggetti separati (visione ordinaria) e permanenti, ad una relazione di processi interconnessi che fluiscono senza sosta nel campo della consapevolezza.
La pratica degli asana o posizioni di Yoga può essere utile perché alza il livello energetico e percettivo portando a questo tipo di esperienza e questo è, infatti, il suo fine principale.
Si può generare una esperienza di ‘vacuità’, di sparizione di qualsiasi processo mentale.
Nella meditazione oggettiva (Dharana) vi sono sempre oggetti di attenzione, anche se a volte mentali o immaginari.
La meditazione soggettiva inverte invece lo sguardo, capovolgendo la ordinaria tendenza della mente a proiettarsi all’esterno. Si tratta di risalire la corrente percettiva all’indietro sino al punto della sua origine. Non significa guardare gli oggetti esterni, ma tentare di tornare a colui che osserva, alla sorgente della percezione e della consapevolezza.
La tendenza dell’Ego è la separazione e quindi il paragone, e tende perciò a volere mantenere il controllo: ha una difficoltà grande a mantenere un campo così vasto e aperto di espansione, se non per periodi brevi. Ci si accorge di non stare meditando quando si percepisce sforzo e tensione. Quando sperimenti rilassamento e recettività allora è un ottimo segno!
Le tecniche di Dharana sono importantissime perché è così che si impara ad avere padronanza della mente, a dirigere e spostare consapevolmente la propria attenzione, con consapevolezza. Questo è alla base dell’attenzione al respiro in Vipassana e della sua moderna versione, chiamata Mindfulness.
Io amo praticare e insegnare le Meditazioni di Osho perché le trovo straordinariamente adatte a noi che viviamo in questo periodo storico. Quello che generalmente viene indicato nelle prime fasi delle meditazioni di Osho, è di concentrare l’attenzione nel “fare” o “agire” qualcosa, spesso muovendo il corpo in modo da scaricare ogni tensione inutile.
Durante queste tecniche la fase di meditazione accade, soprattutto se rimani molto concentrato nell’agire le prime fasi, nell’ultimo stadio dove, secondo la miglior tradizione tantrica, viene chiesto di stendersi a terra in posizione supina, non certo per dormire meglio, ma per permettere l’abbandono totale del corpo e sperimentare la resa: la recettività e l’abbandono totale.
Meditazione è consapevolezza aperta, è un aprirsi allo spazio infinito, senza confini, che contiene la mente ma non è la mente. E’ così che puoi realizzare una diversa esperienza di chi sei, meditando.
2 commenti
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Cercavo vacanze in natura incontaminata, con la pratica del mindfulness, agosto? Grazie.
Ciao Esteban,
quest’anno il Centro Yoga Yoko ha organizzato un viaggio a Bali dal 05 al 20 agosto 2017 con visite nella natura del luogo e le pratiche guidate dalla nostra maestra Lorena Trabucco Yoko: scrivi a info@centroyogayoko.it per avere ulteriori informazioni!
Namastè