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Recentemente ho letto:
“Perché i cani ci salutano quando arriviamo e mai quando partiamo?
…Ho l’impressione che questo dipenda dalla loro concezione del tempo. Come i monaci zen, i cani vivono nel tempo presente. E dunque se mi allontano da Bonnie e Stella, semplicemente esco dal loro presente. Gli assenti non esistono. Quando invece torno, entro nel loro qui e ora e dunque ne stimolo le reazioni di gioia, di festa, di allegria. Non è vero che i cani non ricordano il passato e non anticipano il futuro: ma, almeno per quanto ne sappiamo finora, hanno ogni volta bisogno di uno stimolo presente….”
Fabrizio Rondolino, corrieretv, 6.6.2019
Parlare di tempo ed eternità con il nostro comune linguaggio è un’importante sfida da affrontare.
Il nostro linguaggio infatti rischia di portarci fuori strada. In che modo?
Mi ha sempre molto affascinato l’accurata analisi condotta dall’antropologo e linguista Benjamin Whorf sulle differenze tra l’inglese e la lingua hopi; con i suoi studi raccolti nel libro “Linguaggio, pensiero e realtà” alzò l’attenzione sull’analisi della relazione tra lingua e percezione della realtà, evidenziando come le lingue occidentali portano ad analizzare la realtà temporale come oggetti nello spazio: il presente e il futuro vengono considerati “luoghi”, e il tempo è un sentiero che li collega. Una frase come “tre giorni” è grammaticalmente equivalente a “tre mele” o a “tre chilometri”. Altre lingue, tra le quali molte lingue dei nativi americani, sono invece orientate al processo. Per i parlanti di tali lingue, le metafore concrete/spaziali della grammatica delle lingue occidentali possono/potevano avere ben poco senso. Lo stesso Whorf sosteneva che un parlante Hopi troverebbe la fisica relativistica fondamentalmente più semplice da capire rispetto a un parlante europeo.
I cani dunque hanno un’esperienza del tempo diversa da noi?
Quanto è “condizionata” la nostra esperienza del tempo?
“Quando sei veramente in meditazione, non c’è tempo e spazio per te. Tempo e spazio sono conseguenze della mente” Isha
La nostra vita è una mescolanza di tempo ed eternità, di definito e infinito, dove la gioia, la meditazione, l’amore, la bellezza e tutte le qualità che viviamo in contatto con la nostra essenza più profonda corrispondono ad un accrescimento del fattore “eternità”; nella sofferenza, nello sforzo, nella mente razionale, nell’ego c’è una predominanza del fattore tempo.
Infatti il tempo è qualcosa che spesso si sente definire “tiranno”.
La meditazione insegna in ogni momento a scegliere, a scegliere tra il tempo e l’eternità, in un certo senso questa scelta sembra corrispondere alla scelta fra sofferenza e gioia, ma non in modo così immediato e duale, ma in un modo intuitivo e cioè scavando nelle risorse interne di saggezza e verità, oppure accade in momenti di grazia che la vita generosamente regala.
Mi è successo anche durante la mia ultima vacanza al mare nuotando in mezzo a tanti pesci colorati… quanta meraviglia, perfezione e incanto! E anche l’altra mattina all’alba, in cui sono stata ri-svegliata dal canto degli uccelli…
La “mia” verità, qui e ora, è che ho spesso sperimentato dei momenti di eternità, sono momenti di straordinaria bellezza, la bellezza del vero, in cui ho pensato molto lucidamente: “ora potrei anche morire e sarebbe uguale” oppure “quest’esperienza è assoluta”, posso chiamare con sicurezza questi attimi “momentum”, esperienze di grande valore.
Non so se questi momentum siano una, tra virgolette, “prova” di eternità, certo posso testimoniarvi una pienezza e una beatitudine che sento essere un bene supremo.
È la meditazione che spezza le catene del tempo e noto spesso che la stessa ricerca di quest’esperienza, quando è intrisa di desiderio di realizzazione, mi riporta al tempo, mentre l’accettazione della mia condizione umana, la compassione per me stessa, mi trasporta al termine del tempo, di nuovo nell’eternità, un percepirmi “essere” che sta vivendo un esperienza terrena dentro al tempo.
“Che cos’è mai la nostra cosiddetta esistenza? Una raffica di vento invernale scompare nel folto del canneto e si acquieta fino a calmarsi. Una breve commedia, un semplice gioco… e sei finito. La nostra cosiddetta vita è tanto effimera che non ci si dovrebbe attaccare. La sua unica funzione – la sola funzione che le si addica realmente – può solo essere questa: trovare l’immortale. Nascosto dietro ogni istante, dimora l’eterno. Ma puoi continuare a spostarti sulla superficie, senza mai scendere in profondità nella tua consapevolezza. Potresti muoverti sulla superficie per milioni di vite, simile alle onde dell’oceano. È solo uno spreco di un’immensa coscienza capace di aprire tutte le porte del tuo essere originale, della tua creatività, della tua bellezza, della tua gioia. Ogni istante diviene un istante vibrante di danza.” Osho
Concludo dunque con un invito: meditate e vi troverete a sperimentare stati interiori difficili da spiegare a parole…
Namastè
Yoko
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