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È vero? È realmente vero? di Sally Kempton,
- 14 Giugno 2016
- Pubblicato da: admin
- Categoria: Consapevolezza Qualità del cuore visione
La nostra verità, la nostra autentica verità, si rivela nel momento in cui decidiamo di restare senza riserve nella nostra propria essenza. Venticinque anni fa, ispirata dall’autobiografia di Gandhi, “La Storia dei miei esperimenti con la verità”, decisi di praticare la verità assoluta per una settimana. Resistetti meno di due giorni. Il terzo giorno, un uomo cui cercavo di fare una buona impressione, mi chiese se avessi letto Thoreau e io mi sentii dire: “sì”, malgrado non fosse vero. Qualche minuto dopo mi costrinsi a confessare la bugia. Non fu così difficile. Ciò che si dimostrò essere più difficile fu capire perché avevo mentito. Fu una profonda umiliazione per il mio ego riconoscere che avevo un simile attaccamento a sembrare intelligente, da non poter ammettere di non aver letto un libro. E, una volta iniziato a osservare il motivo di questa bugia, cominciò un vero processo di indagine, che in realtà non si è ancora fermato.
Il problema che ho osservato – e che certamente la maggior parte di voi, che ha cercato di essere trasparente, ha notato, attraversando il processo interiore di trasformazione e maturazione – era che la verità reale era solo la punta dell’iceberg di ciò che la verità comporta. Ci sono così tante aree poco chiare, autoinganni nascosti, cui ho permesso di esistere incontestati. I più duri da vedere erano le auto-giustificazioni, che sembravano fiorire come funghi ogni volta che non avevo voglia di fare il dovuto per osservare le mie motivazioni, oppure quando volevo evitare, o sottrarmi, ad un impegno, ad una promessa, o le posizioni critiche che la mia mente avrebbe generato automaticamente se non mi fosse piaciuto rispecchiarmi nello sguardo di un’altra persona. Quella settimana a stretto contatto con la verità fu difficile.
Se avete davvero passato dei periodi di tempo cercando di non mentire, sapete che pratica emozionante di auto-indagine può far sbocciare. E vi mostra, anche, perché i filosofi e gli insegnanti spirituali abbiano così tanto da dire sulla verità. Come si capisce, le argomentazioni su ciò che la verità significa davvero, vanno avanti da molto tempo. A dire il vero, ci sono tre posizioni. Da un lato c’è la posizione assolutista presa da Patanjali negli Yoga Sutra, uno dei testi chiave della filosofia indù. La verità, egli insegna, è un valore assoluto, e una persona nel cammino di crescita spirituale non dovrebbe mentire. Mai. La seconda posizione, sostenuta da filosofi occidentali come John Stuart Mill e da testi come l’Artha Shastra, il libro indiano sull’arte di governare, che potremmo definire il precursore di Machiavelli, è decisamente utilitaristica. La posizione utilitaristica recita fondamentalmente qualcosa come: “Dì sempre la verità eccetto quando una bugia ti conviene di più”
La terza posizione si batte per una perfetta armonia tra valori in competizione. Si, dice, la verità è un valore alto, ma deve essere in equilibrio con altri valori etici come la non-violenza, la mitezza, la pace e la giustizia. È facile vedere come la terza posizione sia più eticamente stimolante. La posizione assolutista, sebbene nient’affatto facile, ha il merito di essere semplice, ragione per cui ha così tanti, fra i più importanti filosofi e moralisti, dalla sua. (Gli assolutisti si sentono sempre meglio del resto di noi quando si alzano la mattina, non ultimo perché la loro posizione è così netta.) Per Sant’Agostino e Immanuel Kant, Patanjali e Gandhi, la verità, quale assenza di bugie, esagerazioni o elusione di questo valore assoluto, non va mai abbandonata. Nessuna scappatoia.
Mentire, secondo questa posizione, è in definitiva un pendio scivoloso. Primo, perché un bugiardo deve usare un’infinita quantità di energia, solo per tenere in piedi le sue storie. Per parafrasare Mark Twain, cominci col dire al vicino che il tuo piatto di servizio, che chiede in prestito per la sua festa, è rotto, e poi devi mantenere questa bugia. Ciò significa che non ti puoi far vedere mentre usi i piatti. Devi ricordarti la bugia che gli hai detto, ma devi anche essere sicuro che tua moglie sappia tenere il segreto. La bugia ti è costata già dell’energia. E, c’è anche il pericolo che venga smascherata in futuro, dopo di che il tuo vicino non crederà più in te, né si fiderà. Per non dire di tua moglie che ti ha probabilmente già sentito mentire su altre cose.
Ma, l’argomento definitivo per la verità radicale va più in profondità: mentire disallinea con la realtà. Questa era la posizione di Gandhi, basata sull’intuizione che la verità risiede nel cuore dell’esistenza, della realtà. Quando mentiamo, noi perdiamo automaticamente il contatto con la nostra bussola interiore, cioè con il nostro equilibrio di base. In termini psicologici, come sappiamo bene, mentire ci rende sempre un po’ folli. Tutti i sistemi di auto-guarigione o la teoria dei sistemi famigliari, sono basati su riuscire a rivelare con franchezza, e a voce alta, i propri segreti. Molti di voi hanno indubbiamente sperimentato il senso di libertà che viene dopo aver rivelato ad un gruppo qualcosa di cui ci si vergognava troppo per parlarne. Chiunque sia cresciuto in una famiglia che nasconde segreti riconoscerà il folle sentimento di dissonanza cognitiva che sorge quando dei fatti vengono nascosti. Questa dissonanza si infiltra nel flusso sanguigno della società; bugie e segreti sono così profondamente radicati nelle nostre vite personali, aziendali, governative, che molti di noi presumono automaticamente che il presidente, i media, e i coniugi ci stiano mentendo su qualcosa.
Quando le conseguenze del mentire sono così distruttive, spiritualmente e socialmente, perché una persona con principi morali dovrebbe scegliere di dire una menzogna? Vi dirò due ragioni, e forse voi ne troverete altre. Una persona con principi morali può scegliere di mentire se dire la verità autentica compromettesse altri valori, egualmente importanti. Nel Mahabharata, il grande trattato morale della tradizione indiana, c’è un momento cruciale in cui Krishna guida i virtuosi Pandava in una battaglia decisiva contro le forze del male. Krishna – che, ricorderete, è considerato dagli indù l’incarnazione della verità divina in forma umana – ordina al virtuoso re Yudhisthira di dire una bugia. Egli lo fa perché stanno combattendo contro un male terribile, e questo è l’unico modo di vincere la battaglia.
In breve, Krishna sceglie di mentire perché in questo caso salvaguarda altri valori, quali la giustizia e, in definitiva, la pace. La mia insegnante di filosofia al college faceva questo esempio personale: come bambina ebrea in Germania, fu salvata dai nazisti perché una famiglia cattolica mentì alla Gestapo sulla sua presenza in camera da letto. Per loro, dire la verità avrebbe portato lei alla morte. Una piccola bugia per una verità più grande. L’altra situazione, in cui mentire è etico, è quando la verità è semplicemente troppo dura per essere accettata. Questo è un problema che gente come noi – consiglieri spirituali e simili – fronteggia ogni momento. Un esempio classico è uno psicoterapeuta che lavora con le profonde incrinature nel carattere del cliente.
All’inizio della terapia, se lo psicoterapeuta evidenzia certe verità, corre il rischio di scatenare un dolore così grande che la terapia potrebbe finire. Fino a che i profondi traumi, che indeboliscono il carattere, non sono correttamente incanalati, può essere pericolosamente destabilizzante chiedere a qualcuno di fronteggiare i suoi demoni. Più tardi, quando la struttura del paziente è più forte, la situazione cambia. Quando il paziente (o la figlia, o lo studente dell’insegnante spirituale) matura, diventa dovere della figura parentale rivelare la verità nella sua complessità. L’arte della verità, in questa situazione, è sapere come e quando le verità scomode debbano essere rivelate. Un passo falso, o un errore di tempo, possono avere conseguenze terribili. Anche in questo caso, diciamo una piccola bugia nell’interesse di una verità più grande.
D’altra parte, ci sono situazioni in cui una piccola verità copre in realtà una bugia più profonda. Di recente, una mia amica sentì il bisogno di dire a sua sorella che suo marito aveva una relazione. Esordì dicendo che aveva il dovere di farlo per amore di sua sorella. Ma, quando si interrogò sull’accaduto, divenne chiaro che c’era molta aggressione nascosta nei confronti di sua sorella, il bisogno di essere vista come la più matura, quella che sapeva come prestare attenzione alla sorella più giovane. Il mio maestro chiamava tali ambigue rivelazioni “dire l’amara verità”. Una verità amara è un fatto semplicemente troppo doloroso per essere digeribile.
Negli ultimi trent’anni, specialmente nel mondo spirituale, abbiamo vissuto secondo una morale che privilegia piena apertura, pubblica confessione e trasparenza nelle relazioni. I risultati sono stati, al meglio, eterogenei. Perciò sembra vitale creare un’etica che possa bilanciare la verità con altri valori. Un buon parametro sono i quattro cardini del discorso: “È vero? È gentile? È necessario? È il momento giusto per dirlo?” Quando ci sentiamo in mezzo tra dire un’amara verità e fare silenzio, queste domande aiutano a chiarire le priorità.
Ma bilanciare i valori relativi di parola, verità e bontà non è sempre facile e richiede un alto grado di onestà verso le nostre motivazioni. Se la compulsione ad essere spietatamente onesti spesso riguarda l’aggressività, la decisione di nascondere la verità per bontà, o perché il tempo è sbagliato, maschera spesso paura o desiderio di restare nella propria tranquillità. Essere radicali nel dire la verità è semplice. Basta prendere lo slancio e farlo. Essere selettivi, invece, richiede maggiore discriminazione e una rigorosa abilità nel discernere le ragioni.
Se si pratica rigorosamente l’osservazione di quando e come si forza o distorce la verità, si inizieranno a vedere gli schemi di comportamento. Forse esagerate per rendere migliore una storia. Forse descrivete un incidente in modo da porre in luce l’errore di qualcun altro e nascondere il vostro. Forse vi sentite dire automaticamente “Ti voglio bene” ad un amico o un amante, a dispetto del fatto che in quel momento vi sentite in realtà distratto, disinteressato o nettamente ostile. “Io mento tutto il tempo” mi confessò un’amica, dopo aver provato questo esperimento di auto-osservazione. “Dico che una certa persona, importante, è un mio amico, quando in realtà gli ho parlato una sola volta. Agisco come se volessi passare del tempo con qualcuno, quando in realtà mi annoio con loro. Agisco come se il sesso con mio marito mi piacesse, quando in realtà penso a qualcos’altro, o a qualcun altro, tutto il tempo”.
Solo quando abbiamo la volontà di osservare le nostre zone di falsità, scopriamo le possibilità più profonde della pratica della verità. In Sanscrito la parola per verità è ‘satya’. La radice di questa parola è ‘sat’ che significa ‘l’essere, l’esistenza’. La nostra verità, la nostra autentica verità si rivela ogni volta che decidiamo di stare senza riserve nella nostra propria essenza. Ciò detto, è difficile che qualcuno di noi non tragga beneficio dall’assumere un maggiore rigore nei confronti della verità.
Naturalmente si comincia col prestare attenzione alla verità dei fatti. notate e state attenti se avete bisogno di nascondere fatti imbarazzanti, se cercate di apparire migliori, se giustificate errori, o sfuggite a confronti necessari. Quando vi accorgete di aver voglia di dire una menzogna, controllatevi. Per quanto vi è possibile, fate un punto di non dire niente che sapete essere falso. Non appena imparerete a cogliere i vostri schemi caratteristici di falsità – interiore ed esteriore – comincerete a notare che alcune verità devono essere dette, ma ci sono volte in cui rimanere in silenzio è un’accettabile alternativa a dire certe verità.
In altre parole, il vostro impegno nei confronti della verità va ad includere una autentica e attendibile capacità di parlare discriminando. La verità è un’insegnante genuina. Quando abituiamo la mente a seguire dove essa conduce, chiedendoci costantemente: “Qual è il mio motivo per parlare? È giusto e necessario dire ciò? Se non adesso, come saprò se è giusto dire ciò?” Il potere della verità ci mostrerà le sue sottigliezze e ci insegnerà la saggezza. Patanjali dice che attraverso la verità noi otteniamo un tale potere che tutte le nostre parole risultano vere. Io non credo che voglia dire che diventiamo dei sensitivi, capaci di trasformare il vile metallo delle menzogne nell’oro della realtà, giusto con le nostre parole. Credo, invece, che parli del potere di parlare partendo da un’ispirazione, di rimanere fermamente attaccati alla verità, che non è solo dei fatti, ma che illumina, può essere ricevuta, riflette lo stato profondo del cuore.
di Sally Kempton, 8 marzo 2011
(traduzione di Carla Arosio)
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