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L’IMPORTANZA DEL RESPIRO NELLA PRATICA
- 6 Marzo 2023
- Pubblicato da: Admin
- Categoria: centratura chiarezza Consapevolezza Spirito Yoga Yoko

Gli antichi Yogi sostenevano che il prāṇa (l’energia vitale che sottende ogni cosa e naturalmente presente all’interno del corpo umano), con specifiche tecniche Yoga, è possibile incanalarlo, assorbirlo e muoverlo consapevolmente affinché sia d’aiuto alla vita dell’individuo e alla sua evoluzione. Lo scorrere del prāṇa, e il modo di respirare, sono strettamente legati tra loro e il controllo avviene soprattutto attraverso l’azione cosciente sul respiro. La pratica Yoga, con le tante sue tecniche rivela un’evidenza: il prāṇa obbedisce all’attenzione, alla presenza e alla concentrazione mentale. In altre parole, solo una mente capace di concentrarsi può interagire consapevolmente con il prāṇa.
La scoperta del legame che intercorre tra respiro e mente è antichissima e viene espressa per la prima volta nella Chāndogya Upaniṣad:
«Come un uccello, legato a una corda, svolazza qua e là, e non trovando altrove sostegno si rifugia proprio là dove era legato, così, o caro, il pensiero qua e là divaga e non trovando altrove rifugio, si riposa sul respiro: infatti, o caro, al respiro è legato il pensiero.»
Controllare il respiro equivale a controllare la mente, e viceversa:
«Colui che ha controllato il respiro, allo stesso tempo ha controllato la mente. E colui che ha controllato la mente, ha controllato anche il respiro.»
Lo Yogabīja, testo di Haṭha-Yoga risalente al XIV sec. d. C., spiega l’interdipendenza tra i due e cioè come la maestria sulla mente avvenga solamente attraverso la conquista del prāṇa/respiro (prāṇajaya).
«Con le più svariate riflessioni non si domina la mente, dunque il metodo per conquistarla è il prāṇa e null’altro. Mio caro, il prāṇa non si controlla con la logica e i discorsi, con la pletora dei testi sacri (śāstra), con la deduzione (yukti), né con i mantra curativi sprovvisti del metodo degli adepti. Ci si incammina sul sentiero dello Yoga dopo aver appreso il metodo per padroneggiarlo [ovvero, il respiro]. Colui che ha una conoscenza parziale e frammentaria finisce nei guai. Quegli Yogi che per la loro stoltezza vorrebbero [praticare] lo Yoga senza aver conquistato il respiro assomigliano a chi vuole attraversare il mare su un vaso di argilla non cotta3.» (80, 81, 82, 83)
UN ASPETTO FONDAMENTALE
Patañjali negli Yogasūtra riprende come pilastro portante della disciplina yogica il fatto che per calmare la mente con le sue modificazioni e fluttuazioni sia necessario il respiro, il prāṇāyāma, inteso come la sospensione del respiro detta kumbhaka.
«Una volta datasi tale [stasi, nelle āsana, n.d.r.], si proceda col confino del respiro (prāṇāyāma), che consiste in un atto di recisione [rivolto al ‘naturale’ distinguo] fra moto inspiratorio ed espiratorio.»
Già comunque secoli prima la Bhagavad-gītā descriveva come pratica yogica consolidata del Karma-Yoga il controllo dei due soffi prāṇa e apāna:
«Altri [yogi, n.d.r.] poi sacrificano il soffio inspirato nel soffio espirato, il soffio espirato nel soffio inspirato, arrestando alternatamente il flusso del prāṇa e dell’apāna, interamente dediti al controllo del respiro”.
L’arte di concentrare il prāṇa ha costituito una delle più grandi scoperte psicologiche e spirituali.
Rappresenta un’immensa potenzialità, non solo per giungere a modificare stati di coscienza, ma anche per risvegliare stati di felicità come pace, gioia, contentezza e amore. Può portare dunque a far nascere dei doni spirituali. Questa qualità di presenza è più sottile della concentrazione mentale ed è la qualità che illumina di comprensione e chiarezza il presente che si sta vivendo.
Se si pensa in questo modo della pratica Yoga e alle sue conseguenze, potrebbe essere logico dedurre che è adatta solo a persone che sono in grado di padroneggiare le fluttuazioni mentali e che sono direttamente responsabili del proprio comportamento, personalità…
Ma non è così.
Si può iniziare tranquillamente con una mente frammentata, dove i pensieri, le azioni, le parole e le emozioni sono spesso in disarmonia. La pratica stessa si rivela una terapia per la mente; sarà la pratica ad accompagnare la mente verso il suo vero compito a servizio dell’Essere.
Non serve essere già capaci, ma occorre non perdere mai di vista il respiro. Si può cominciare dedicandogli del tempo e gradualmente, diventerà l’àncora della presenza. Percepirlo con devozione, nel qui e ora, questo è il vero segreto.
A cura di Lorena Trabucco
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